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Così le aziende sfruttano la tecnologia per indebolire i lavoratori



Più automazione e tecnologia per le aziende, meno potere - anche economico - per i lavoratori. In estrema sintesi, è questo lo scenario che emerge da due nuovi studi rilanciati da The Atlantic. Il primo, condotto dai ricercatori della University of Massachusetts at Amherst, della Columbia University e da Microsoft Research ha analizzato il crowdsourcing per scoprire se formule di orario e di lavoro flessibili offrono particolari benefici rispetto alle modalità di impiego tradizionale. Le leggi di mercato I ricercatori hanno scoperto che dal 2005 al 2015, il numero di free lance e lavoratori indipendenti è cresciuto del 50% e questo tipo di attività rappresenta il 94% dell’incremento di posti di lavoro registrato negli Stati Uniti nello stesso periodo. Il cambiamento potrebbe essere un buona notizia per i lavoratori che, grazie a piattaforme come Uber e Taskrabbit, hanno la possibilità di passare da un datore di lavoro all’altro, inseguendo compensi più alti, ma la verità che il surplus di valore creato dalle nuove piattaforme professionali fnisce nelle tasche dei datori di lavoro. Per esempio, per ogni dollaro prodotto dai lavoratori del market place di Amazon Mechanical Turk, meno del 20% va al lavoratore, rispetto al 50-80% registrato nel caso delle professioni dell’economia tradizionale. Dubbi sui livelli di reddito In teoria, anche l’automazione dovrebbe liberare tempo per i lavoratori che, a questo modo, avrebbero la possibilità di svolgere compiti di maggior valore e, dunque, pagati meglio. Il Mit e l’Università di Utrecht dimostrano, invece, che il trend si muove in direzione diametralmente opposta. I ricercatori, infatti, hanno preso in considerazione 28 settori e 18 paesi Ocse e hanno scoperto che, a partire dagli anni Settanta, l’automazione non ha ridotto i posti di lavoro, ma dal nuovo millennio ha ridotto la percentuale di reddito nazionale di pertinenza dei lavoratori. Il problema, secondo i ricercatori, non è se i robot ruberanno posti di lavoro, ma se le nuove professioni saranno in grado di assicurare ai lavoratori un reddito sufficiente per uno standard di vita accettabile. I più esposti, ancora una volta, sono i più giovani: i 16-24enni, infatti, rappresentano il 23% dei lavoratori nel retail, quasi il doppio della media degli Stati Uniti. L’intelligenza artificiale moltiplica il controllo Nel conto, riferisce The Economist, entra anche l’intelligenza artificiale che permette ai datori di lavoro di raccogliere molte più informazioni sui dipendenti e sull’uso che fanno del proprio tempo e delle risorse aziendali. L’intelligenza artificiale è in grado di individuare anomalie nelle richieste di rimborso, assegnare punteggi alle risposte dei dipendenti dei call center (se ne occupa Cogito, una start-up che valuta l’empatia trasmessa dagli operatori) e monitorare le comunicazioni dei dipendenti sui social media. E’ il caso di applicazioni come Slack che, se da un lato, aiutano i manager a valutare quanto velocemente i dipendenti portano a termine un compito assegnato, dall'altro, come indica il nome “Searchable log for all conversation and knowledge” (Registro ricercabile per tutte le conversazioni e conoscenze) passa al setaccio le attività di chi lo usa.

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